Le due Marianne
Le due Marianne (1896)
Personaggi:
Luigi Spazzoletti
Marianna Spazzoletti
Narciso Ballanzini
Marianna Ballanzini
Un servo
Una serva
Il capo stazione
ATTO PRIMO
La Stazione di Palazzuolo. È verso sera
SCENA PRIMA
LUIGI: entrando seguito dalla Sig.ra Spazzoletti: Siamo a tempo, signor capo?
VOCE DEL CAPO: Per dove parte il Signore?
LUIGI: Per Milano?
VOCE: Eh gh'è tempo venticinque minuti.
LUIGI: E dopo questo treno non ce n'è altri?
VOCE: Per Milano el xè l'ultemo...
SIGNORA SPAZZOLETTI: Che bisogno c'era di farmi correre a questo modo?
LUIGI: Che bisogno! Se era tardi non si arrivava a tempo, eh...
SIGNORA: Già, se era tardi non era presto, dicono a Perugia.
LUIGI: Già! (ironico)
SIGNORA: Sempre così quando si viaggia con te; bisogna che tutto finisca in tanto veleno.
LUIGI: Grazie a madama!
SIGNORA: O che non si poteva prendere una carrozza... e non farmi ansare una mezz'ora come un cavallo per una strada piena di polvere?
LUIGI: Eh che non l'ho forse cercata io la carrozza? è colpa mia se c'era la carrozza e non il cavallo? dovevo andar sotto io a tirarla la carrozza? Non farmi girar il bocino.
SIGNORA: Oh non chiedo tanto... Chiedo solamente che mi si tratti come una signora e non come un cavallo.
LUIGI: Sei tu che mi tratti come un cavallo, bimba.
IL CAPO: (Oec, la se scalda!)
SIGNORA: Del resto non è la prima volta e non sarà nemmeno l'ultima. È ormai la storia di tutti i giorni, padron mio.
LUIGI: Tu vuoi dire che ti secco, che ti peso, che non so trattare colle dame, che ti avveleno la vita...
SIGNORA: L'allegria, la chiacchiera, la garbatezza, i salamelecchi li sai trovare quando sei in compagnia de' tuoi amici e specialmente delle signore de' tuoi amici...
LUIGI: Adesso fammi anche la gelosa, bimba.
SIGNORA: Ma per tua moglie tutto è inutile, tutto è caricatura, tutto è spesa inutile; se fossi la tua serva non potresti trattarmi con meno cerimonia.
LUIGI: Guarda che son di Romagna e la mi fuma presto, la mi fuma.
SIGNORA: Sì lei signor Luigi Spazzoletti, lei signor negoziante di tessuti diversi, lei signor presidente della società degli esercenti in fibbie e bottoni; lei sarà un grand'omo di Romagna, ma non creda d'essere un gentiluomo...
LUIGI: Ah, lei crede signora Marianna di Perugia che un uomo che lavora dalla mattina alla sera, che ha la testa negli affari e nelle cambiali in scadenza abbia tempo di ballare che so io? il minuetto intorno a sua moglie?
SIGNORA: Basterebbe, signor Spazzoletti, che non trattasse la su' signora come lo straccio della stoviglia sporca, che non la lasciasse in casa sei, sette, otto ore sola in compagnia della sua cagnolina e del suo pappagallo a rattoppargli le calze, a preparargli le pappe, per entrare la sera torbido, brontolone, scontroso, uggioso, come se la sua casa fosse la gabbia dell'orso e mica la casa di sua moglie. E quando si degna di condur sua moglie in campagna da' suoi amici dovrebbe fare in maniera che fosse ricevuta con più garbo...
LUIGI: Chi ti ha mancato di riguardo a te?
SIGNORA: Se tu usassi una volta con me le moine che hai usate a tavola quest'oggi alla signora Tortorelli...
LUIGI: Ma che ti salta in mente? che mi vai tortorellando? la ti gira? è ora che tu la smetta.
CAPO: La xè squasi cotta!
LUIGI: Se ti ero antipatico non dovevi sposarmi.
SIGNORA: Se noi povere donne sapessimo prima quel che sono gli uomini certo non si commetterebbero certi spropositi. Quando ci vogliono sposare o pei nostri begli occhi o... per la nostra bella dote...
LUIGI: Mariannuccia, bada che la va a finir male... Bada che son di Romagna...
SIGNORA: Prima son tutti dolcezza e poesia, promettono mari e monti; a sentirli devono passare la vita ai nostri piedi a respirare il nostro respiro, a specchiarsi nei nostri sguardi, fin che povera allocca ci casca; una volta cascata peggio per lei. Allora ricominciano gli affari, le cambiali, le adunanze, i telegrammi, i bilanci, non c'è più tempo di dir due parole in pace, si mangia in collera, si grida per tutte le sciocchezze, o perché la zuppa è troppo salata, o perché non è salata abbastanza, o perché fa male una scarpa, o perché s'è staccato un bottone, o perché piove, o perché fa caldo, o perché il governo mette la ricchezza mobile e tutti i mali si fanno passare per la pelle della moglie come se la moglie fosse il cuscinetto degli spilli. Per rifarsi, la sera si va alla birreria, a giocare al bigliardo, a far visita alla signora Tortorelli e la moglie a casa a sbadigliare.
LUIGI: Hai finito, gioia? Tu credi che tuo marito sia un ragazzo a cui si possano dare quattro ceffoni sulla via...
SIGNORA: Io credo... che...
LUIGI: Guarda che son stato a Mentana ve'... Non ho avuto paura delle baionette francesi io, e non voglio aver paura delle ciarle d'una bécera insopportabile.
SIGNORA: Il tuo pappagallo è più gentile.
LUIGI: Se credi di farmi ballare come una trottola t'inganni... Ho diritto d'essere rispettato e come uomo e come negoziante e come marito. Son Romagnolo che non ha paura di trecento operai io; né voglio subire la prepotenza d'una... pettegola...
SIGNORA: Ah... pettegola...? in Romagna dite pettegola?
IL CAPO: La va de sora via...
SIGNORA: Mantiene questa parola, sor Luigi Spazzoletti?
LUIGI: La mantengo, la ripeto, la stampo, sora Marianna.
SIGNORA: Basta. Dopo appena due anni di matrimonio è il primo diamante che il signor cav. Spazzoletti regala a sua moglie. La ringrazio. Non ho più nulla a dirle. Mi ritiro qui in sala; quando arriva il treno si compiaccia d'avvertirmene. (entra a destra).
LUIGI passeggia nervoso, irritato: Potessi tu tacere cento anni! queste maledette donne sembran fatte a posta per guastare la pace d'un galantuomo. Oh ma la faremo finita...! non voglio morir tisico io per la lingua della sora Marianna Spazzoletti. Divisione, divisione assoluta di casa e di pane. Un uomo ha la pazienza limitata per un po', due po', tre po',... ma po... poi... (non trova i sigari) Non ho nemmeno un cane di sigaro, corpo d'una saetta, e mi tocca fumar la mia rabbia. Non c'è un tabaccaio qui vicino, sor capo?
CAPO: Qua in fondo alla contrada c'è un botteghin.
LUIGI: Ho tempo di scappare a prendere un paio di sigari?
CAPO: El gh'à tuto el tempo. El treno el xè in ritardo.
LUIGI: Se non respiro un po' d'aria scoppio di rabbia.
CAPO: De sto buco se gode de' bei spettacoli come a un teatrin. Gh'ò pagura che questi due italiani stanotte faran de' brutti sogni... Gh'è xè chi una carrozza.
SCENA SECONDA
Narciso Ballanzini e Marianna Ballanzini
LEI: Vuj, Narcis, dagh on franc al Peder. Ciao, neh Peder, saludem ancamò el zio prevost. Oh Maria Maddalena come l'è scur. Ehi, sor cap, el droppen de fa rostì la rostisciana lor sciori, l'oli di lampad? Signori non è proibito di pestarsi il naso. (depone un gran mazzo di fiori e un canestro chiuso col gattino)
NARCISO: C'è tempo per la Bullona?
CAPO: Gh'è xè tempo... gh'è xè tempo...
LEI: Pazienza, pover mort. Gh'avevi quasi paura de dormì chì.
NARCISO: Te l'ho detto, amor mio, che c'era tempo. Se podeva finì foeura quella bottiglia, corpo di quel biondo! Quel to' zio prevost el gh'à un valtellina, un vero vino benedetto.
LEI: Fa piasè, di no su di spegasc. E1 gh'è ancamò el me miscin?
NARCISO: Cossa t'è vegnù in ment de porta via quel gattin.
LEI: Guarda, el gh'à due oggitt che paren do' stell. (gnau) baciando il canestro: Cara, cara el me borlin.
NARCISO: El mancava domà lu per fa l'arca de Noè. Minga assee di caneritt, di gajnn, di cagnoeu.
LEI: Di merli...
NARCISO: Anche a me piaciono gli animali, ma più cotti che crudi. Vuj, Marianna, te set che quel to' zio prevost l'è on ritrovato! Tutti gli anni supera se stesso. Quel polastrell alla cacciatora con funghetti l'era sublime; ma era un nulla in confronto de quel zampone di Modena adagiato in un letto di spinaci.
LEI: El par che a casa toa no te faga mangià che carisna.
NARCISO: Non essere in collera, dolce consorte. Se nol fuss per el decoro conjugale tiraria foeura el marsinin. Quel valtellina el gh'aveva denter un certo gas acetilene. (siede)
LEI: Fa no el salam. Guarda che te se settet sui me' fior. Tiret su, lassem settam mi che son stracca come un asnin.
NARCISO: Ci stiamo tutti e due: guarda: Narciso e Marianna, con un innocente animale nel mezzo e un mazzo di fiori. Un idillio soave!
LEI: Fa piasè, parla pu italian, se no disaran che t'è bevuu...
NARCISO: Mentirei se dicessi di no; mentirei di più se dicessi che el vin del zio prevost non è il più potabilissimo dei vini. Mi se torni a nass voej famm battezzà da quel degno sacerdote.
LEI: T'è capii de di no su di asnad. Guarda puttost che non te abbiet a indormentass come l'ann passaa...
NARCISO: L'è vera, l'è mej che me moeva. L'ann passaa, proprio come oggi, te se ricordet Marianna? che scènna... El se ricorda, sor cap?
CAPO: Che cosa el dise? oh è lei sor Ballanzini. Servitor devotissimo.
NARCISO: Stavo ricordando qui alla mia legittima quel che c'è capitato l'ann passaa come incoeu quand sem tornaa dal disnà del zio prevost, che Dio conservi lui e la sua cantina. Appena in vagon se sem indormentaa tutt due come due anacoreti, mi e la Marianna; per cui passa Bruzzano, passa Affori, passa la Bovisa, e num... chi dorme non fa peccato. El mal l'è ch'è passaa anche la Bulona... senza aprir ciglio, vera Marianna? dormi tu che dormo anch'io, rivom a Milan. Lì non so come l'è stada...
MARIANNA: El vagon l'era scura come in bocca al lof...
NARCISO: Scende la gente, distacchen el vagon, e nun... chi dorme non piglia pesci.
CAPO: Effeto de la vernaccia...
NARCISO: Em dormii fino al canto del gallo, cioè fin quand on alter condutteur l'è vegnuu denter a domandà: - Dove vanno questi signori? - Se el tardava un po' ancamò se dessedavem a Saronn...
MARIANNA: Tutta colpa toa che te se minga bon de tegnim dessedada. Mi già el me sognett dopo disnà el faroo anche in di fiamm del purgatori.
NARCISO: Roba de farne un quadretto alla madonna del Mont. Bisogna ben che staga in pee, se voej resist alla tentazion de schiscagh un visorin.
MARIANNA: Moevet, moevet, va de fuera a ciappà de l'aria, per amor di Dio. Mancaria anca questa...
NARCISO (si muove e passa nella sala vicina)
MARIANNA (combattendo col sonno): Crodi anca mì del sogn... Quel vinett de malvasia el scalda i orecc come un fer de soppressà. Ma basta una volta el tradiment. (gnau) Sì car el me miscin, parlèm mi e ti, tégnem dessedada. Te vedaret che bel sit a ca mia. Una bella casetta, un bel giar... din... (sonnecchia) te faroo una bella nanna de bomba... sina; te daroo el lattin col bis... cott dolz...
NARCISO: Vuj, Marianna, senten vuna bella. Vo denter in sala che l'è pussee scur de chi, foo per settam giò e a momenti me setti in scossa una sciora...
MARIANNA: Ah brutt macaco... I sciorinn lu j a troeva anca al scur. Pesg che una vespa per l'uga dolza.
NARCISO: La de sta là al scur? Del resto ogni lasciato è perso...
MARIANNA: Fa no el moscardin con quella panscietta che par el baril della mostarda. Cred minga de ves un pollo dal belvedere.
NARCISO: Perché? che cosa mi manca Marianna?
MARIANNA: Te manca appena vent'ann a fann settanta...
NARCISO: Cosa sono cinquant'anni quando lo spirito è pronto?
MARIANNA: Va a ciappà dell'aria: lassem fa un visorin, una ragnera de sogn... Ne podi pù.
NARCISO: Ah sì, sta notte faremo una bella dormidona con tutt quel bianco e rosso che fa la gibigiana. Ma niente vagone, Narciso stasera viaggia in terrazzino. (sbirciando nella sala) La s'è tirada indree come una bissa, per paura che non la schiscias. La gh'aveva un certo profumin de sciora. Che vizi porch de tegnì i viaggiator al scur. Vuj, la Marianna la cocca... Ehi, sor cap, gh'ò temp de andà chi de feura un minut...
CAPO: Ch'el faccia domà in pressa...
NARCISO: In pressa, in pressa... (esce)
MARIANNA (sonnecchiando): Sì, pover miscin... doman te faroo un collarin ross, con taccaa on campanellin... che fa din... din... (dorme) No, no, zio, l'è trop... preferissi la mitria... l'è la mia passion... Che fa din din... Suona la campana Marianna non sente
NARCISO: Presto, Marianna, l'è chi, l'è chi el treno...
CAPO: Presto chi parte.
MARIANNA: esce dalla sala e dice passando: Quasi mi ero addormentata...
Nuovo suono di campana - parte il treno
LUIGI (entra coi sigari) Marianna, partenza, presto... fermo, fermo... (entra in sala): Marianna! Dove sei?
LA BALLANZINI: Son chì, son chì... Oh Signor che vision! Me pareva de vess in un lampedari... El me miscin?
LUIGI: Dove sei, Marianna?
LA BALLANZINI: Son chì, cara el me taliano.
IL CAPO: El treno el xè già partido.
LUIGI: Come è partito?
BALLANZINI: Come partido? Narcis, el me Narcis dove l'è? l'era andà de feura a ciappà la rosada...
LUIGI: Quella signora che era qui in sala, dov'è?
CAPO: Mi no so niente; se no se curen de eli i viaggiadori... cossa vole che fasso mi?
LUIGI: Non ha visto lei una signora giovine poco fa qui in sala?
LA BALLANZINI: Una sciora giovina, in sala d'aspetto? la gh'era difatti...
LUIGI: Portate un lume: par d'essere in Abissinia e non in paesi civili.
IL CAPO: La signora ch'era qui è partita col signore grasso...
BALLANZINI: Come col signore grasso?
IL CAPO: Col sior Ballanzini...
BALLANZINI: Ma lu chi l'è? chi l'è lu?
LUIGI: Son il marito di quella signora ch'era lì... E lei chi è?
BALLANZINI: Son la moglie de quel signore grasso.
LUIGI: Son partiti insieme.
LA BALLANZINI: Corremog adree... Ferma, ferma la carrozza...
LUIGI (allo sportello): C'è un'altra corsa? mia moglie non ha i biglietti.
CAPO: Ma come la xè stada?
LUIGI: Fermate, maledetti... (s'incontrano e si urtano)
LA BALLANZINI: Ma el sa che lu l'è Oh bel original? ch'el scusa se ghe parli senza conossel. El gh'à de lassà chi una miee giovina senza curalla?
LUIGI: Son stato a cercare dei sigari...
LA BALLANZINI: Un sigaro el sarà lu...! E adess cosa se fa? Sor cap, ch'el tacca sott on altra macchina.
CAPO: Qui no xè machine.
LA BALLANZINI: Se no la xè che la faga vegnì...
LUIGI: Si potrà trovare almeno una carrozza?
CAPO: A st'ora è difficile trovar carrozze.
LUIGI: Ma mia moglie non ha né denari né biglietti.
LA BALLANZINI: El me mari el gh'à invece i bigliett, i danee e sciorina in compagnia! Brutt moster! scommetti che l'à fa a posta, a lassam dormì per viaggià colla donna d'altri. Ma Narciso, Narciso, me la pagherai.
LUIGI: Forse io ho parlato troppo aspramente ed essa ha voluto darmi una lezione...
BALLANZINI: Ch'el disa, scior capp, gh'è minga el mezz de fermaj a mezza strada? de fai tornà indree per telegrafo?
CAPO: Ghe par? com'è possibile?
LUIGI: Dov'era diretto suo marito?
BALLANZINI: Alla Bullona. E la sua sciora?
LUIGI: A Milano, ma non ha le chiavi di casa. O povera Marianna.
BALLANZINI: Lei el sarà on grand omo de talento, ma in sta faccenda chi, ch'el scusa, è stato on grande salame in barca. Quando se gh'à la sposina giovine e magari bella la se lassa minga in ona sala scura inscito de per lei..., al buio, a rischio che qualcuno ci passi appresso a schigliargli i piedi. E così càpita quel che càpita...
LUIGI: Che cosa si fa? non si può dormire in stazione. Ci sarà un albergo in questo paese.
BALLANZINI: L'albergo all'insegna dei luganeghini... Pover el me miscin dormirem mi e ti sott on moron... (piangendo)
LUIGI: E per maggior dispetto comincia a piovere.
BALLANZINI: Benone... Quel baloss el mi ha portaa via anca l'ombrella.
CAPO: Signori, mi avvisano che sta per arrivare un telegramma da Cusano.
LUIGI: Un telegramma?
BALLANZINI: Hin lor che scriven?
CAPO: Si saran fermati forse a questa stazione.
BALLANZINI: Se pò sentì quel che disen?
CAPO: Ma che la staga indietro, el telegrafo el xè minga on bicocchin...
BALLANZINI: M'è fina scappà tutt el sogn che gh'avevi.
CAPO: Stia zitta, comincia ad arrivare il dispaccio:
BALLANZINI: Sentimm sto dispacc...
CAPO: Nato figlio maschio... mandate balia.
BALLANZINI: Cos'è? cosa el dis quel scior telegrafo?
CAPO: Non xè per loro, è per il prestinaio di Palazzolo.
BALLANZINI: Mancaria anche questa! non le pare signor... scusi... il suo riverito nome? possiamo presentarci adess che podem considerass quasi come parenti nella deslippa... Come si chiama la gentile sua signora?
LUIGI: Marianna Spazzoletti...
BALLANZINI: Anche mi me chiamo Marianna, Marianna Ballanzini, moglie a quel brutto mostro di Narciso Ballanzini che mi ha abbandonata sul lastrico. Se resti vedova on altra volta, prima de sposà on uomo ingrato, ti sposi ti el me pover gattin.
LUIGI: Non arriva qualche altro telegramma?
CAPO: Ne arriva uno dalla Bullona.
BALLANZINI: Citto, sta volta l'è propi lu...
CAPO: Ha capito de stare indietro, benedeta dona.
BALLANZINI: L'è el me marì che parla, donca gh'ò diritto.
cAPo: Lei mi guasterà la macchina e allora addio dispaccio.
LUIGI: Abbia pazienza, signora Ballanzini...
CAPO: "Avvertire signor Spazzoletti moglie fermarsi Bullona casa Ballanzini in attesa prima corsa di domani"
LUIGI: Meno male...
BALLANZINI: Come meno male?
LUIGI: A Milano mia moglie non conosce nessuno... e son contento che passi la notte in una casa ospitale.
BALLANZINI: Niente affatto: ghel manda subit indree: moglie Ballanzini niente voler in casa bella sciorina: venire con manico scopa.
LUIGI: Signora Ballanzini lei fa torto a me, a mia moglie, a suo marito e anche un poco a lei stessa. È meglio pigliar la cosa allegramente, cercar di passar la notte meno male in questo paese, e domani colla prima corsa andremo tutti quanti a far colazione in casa Ballanzini, se lei c'invita.
BALLANZINI: Poiché lei mi pare un uomo abbastanza sicuro del fatto suo, se el voeur accompagnare coll'ombrella el presentaroo in casa Riboldi dove la sora Paolina la podarà damm de dormì a tutti e due. L'è ona brava sciora e anche el sor Riboldi l'è on bon ometto. Ghe vendiamo le gallette tutti gli anni. Ghe rincress no a portaa el miscino? Paese che vai, dice el proverbio toscano, donna che trovi... Son minga giovina come la sua sposina, ma Narciso el dice che valgo ancora i miei cinque soldi, quand son on poco rangiata su.
ATTO SECONDO
In casa Ballanzini
Campanello interno, Servizio di caffè, pianoforte, musica, arcolaio, bottiglia, secchiello.
SCENA PRIMA
Gaetano quindi Menica
GAITAN: Vuj, Menica, senta ona parola.
MENICA: Cosa el voeur el me scior marì.
GAITAN: Voei contatten vuna; ma guarda a no parlà (eh... eh...) ride.
MENICA: Son minga una tapellona
GAITAN: Di volt vialter donn...
MENICA: Son minga una bagaja
GAITAN: El soo che te set vèggia
MENICA: Cossa l'è sta novitaa, el me car pivèll.
GAITAN: Ier sira ti set andada a dormì prest, e t'è minga vist...
MENICA: Cossa gh'era de vedè
GAITAN: El noster padron... (ride)
MENICA: Cosa el gh'aveva de noev...?
GAITAN: El gh'aveva de noev la miee...
MENICA: Te me paret un poo indorment, Gaitan.
GAITAN: Dormi no, dormi no... eh, eh! (ride) Te set che i noster padron eren andaa a disnà dal scior prevost... eh, eh... Te se recordet l'ann passaa?
MENICA: Quanti hin restaa tutta la nott indormentaa in del vagon?
GAITAN: Ben, quest'ann, l'è ancamò pussee bell... eh, eh...
MENICA: Te fariet morì un sass. Cunta su...
GAITAN: Ma fa citto ve'... se sa mai... Mi seri su a specciai quand senti batt la porta. Voo a dervì e vedi sott on' ombrella el padron con una bella sciorina... eh, eh... sott brasc...
MENICA: Cioè colla sora Marianna...
GAITAN: L'era no la sora Marianna
MENICA: Chi l'era?
GAITAN: Mi el so no, eh, eh...
MENICA: Dove l'è restada la sora Marianna?
GAITAN: Mi el so no, eh, eh...
MENICA: Cosa el t'ha ditt?
GAITAN: Gaitan, el m'ha ditt, prepara subet la stanza della sciora Carolina, te set quella bella stanza chi de sora. La signora resta a dormire...
MENICA: Te gh'è minga domandaa chi l'era?
GAITAN: Mi no ve'... se sa mai...
MENICA: Te gh'è minga domandaa cunt della sora Marianna?
GAITAN: Mi no ve'... Se sa mai...
MENICA: Che alla padrona gh'abbia faa mal el pollin? di volt l'è on poo golosa quella sciora.
GAITAN: Sta ben... Ma come te spieghet ti la bella sciorina?
MENICA: L'era giovina?
GAITAN: Ventidu, ventitrè ann...
MENICA: L'era bella?
GAITAN: Un sgarzorin minga mal eh, eh...
MENICA: Cosa el ghe diseva el scior?
GAITAN: El parlava taliano: - Che la resti servita nella mia casa, che la toega un caffietro, che la mangi un cicino di qualche cosa; che la si disperi minga che el so marito la perderà no... Metta che sia la sua casa, la sua stanza, el suo teccio...
MENICA: O povera padrona! E adess dove l'è sta sciorina?
GAITAN: L'è dessora che la dorma eh, eh
MENICA: Te set sicur de 'vè minga fa on sogn...?
GAITAN: Sogni no come l'è vera che ti set pussee veggia de mì...
MENICA: Veggia o giovina, el me car Gaitan, te m'è sposada e tegnem. I miee se cambien minga come un para de calzett...
GAITAN: Ma te vedet ch'el padron eh eh...
MENICA: La sarà stada una sua parente. Cossa la diseva sta sciora?
GAITAN: La parlava anca le un bell'accento tosquano: Che non si sconquassi, sor Balanzini, io dormiroglio lo stesso anca su una cadrega... (squillo di campanello)
MENICA: Citto, el campanell...
GAITAN: El ciama tì...
MENICA: El ciamarà tì...
GAITAN: Mi gh'ò su el latt sul fornell...
MENICA: Mi gh'ò un ascia de reff de fa giò.
NARCISO: (di dentro) Menica.
GAITAN: Te sentet? el ciama tì...
NARCISO (entra): Te set chì Menica? Brava, va de sora all'uss della sora Spazzoletti e domandegh pianin se la gh'à bisogn de quaicoss. Ma fa' pianin, de no dessedalla se la dorma, povera sposina. E ti Gaitan, sent...
MENICA: (Son curiosa de vedè sta novità che dorma)
NARCISO: Sent, Gaitan, sta attent ai ordin: cerca de vess minga balord come al solit.
GAITAN: El me dover, scior.
NARCISO: T'è vist quella sciora ch'è rivaa ier sira?
GAITAN: L'ho vista, eh... eh...
NARCISO: Cossa te gh'è de rid...
GAITAN: Eh, eh, eh...
NARCISO: Cosa te credet?
GAITAN: Mi no so cossa cred, scior...
NARCISO: Quella sciora lì l'è la sciora Marianna... Tel se no el miracol?
GAITAN: Mi el so no...
NARCISO: T'è mai sentì a parlà dell'acqua miracolosa della Rupe di Mosè?
GAITAN: Mi no come l'è vera che la mia Menica l'è pussee veggia de mi.
NARCISO: Te gh'è de savè che in Palestina gh'è ancamò quel sass da dove Mosè l'ha faa sbilzaa l'acqua colla verga. Ogni cent'ann precis sbilza foera ancamò da quel sass un pissiroeu d'acqua per un dì e per una nott, un'acqua miracolosa cha ha la virtù di ringiovanire chi se ne lava la faccia.
GAITAN: De bon...?
NARCISO: L'è on acqua che tutti poden minga ave perchè el gran Sultano la ten tutta per lu e per le sue odalische... Ma un pio missionario ne ha potuto ottenere una botticella e ne ha dato alcune bottiglie al noster zio prevost, el qual zio prevost ch'el ghe voeur ben alla mia Marianna l'ha lassaa che la se lavass la faccia pusseè d'on ora. Di qui il miracolo.
GAITAN: El dis de bon...? Dunque la sciora Che dorma l'è sciora Marianna...
NARCISO: Corretta e riveduta...
GAITAN: El par quasi nanca vera.
NARCISO: A proposito di bottiglie, tacca la carettella e fa una corsa a Affori dal Borella ch'el te consegnerà dodes botteli d'acqua minerale e torna subet perché spetto gent a colezion. Nella stessa strada fa la spesa come se fussem quatter a tavola... un pasto leggiero, però: ieri abbiamo prevaricato un pochetto...
GAITAN: Allora voo subet... (via)
NARCISO: E minga dimenticà i botteli dell'acqua... Un po' di Vichy aiuterà a sgombrare lo stomaco. E inscì, Menica?
MENICA: L'ha ditt che la desidera niente che adess la ven giò subet a dagh el bon giorno.
NARCISO: Ti prepara el caffè; e fa giò un po' de polver (Menica mette a posto le sedie ed esce) Narciso, siede nel mezzo.
A parte la Rupe di Mosè el casetto el podeva no vess pussee grazios e divertent. Ah Narciso... Narciso...! se te gh'aveset no cinquant'ann e quell'appendice di donna Marianna...! Come l'è stada, mi ho minga nancamò capì. Se ved ch'el cap el s'era indormentaa nel camerin: mi sera appena andà foeura, quand senti vosà: - Partenza, partenza! - Corri, torni indree in pressa in pressa, ciama: - Marianna Marianna -; senti una voss tra el ciar e scur che rispond: - Sont chi - Vedi un'ombra che me ten adree, vo su in vagon, el treno el se moev, cerchi la Marianna e invece della mia cara dolcezza me troevi in compagnia d'uno squisito bottoncino di rosa... che la dis: - Dov'è mio marito? il mio Luigi? Dove sei Luigi? ma non era qui Luigi? E la cerca, la sbaratta i oecc, la va al sportell, la vosa: - Ferma ferma... lalela... El vapor già in ritard el correva come el vent. S'erem sol in vagon mi e le; la se mett a piang, a disperass, a di che le la gh'à no de bigliett, che la gh'à noo danee, che la gh'à no i ciav de ca; e mi bel bello, visto che la donna era una forestera, col mio savoir faire ghe disi: - Ma che non la si disperi, cara signora. È stato un equinozio. Il suo Luigi sarà andato anche lui un po' lontano, non ha sentito il treno; anch'io ho fatto appena a tempo e ho perduta la consorte; ma non piango per questo. Ci penso io a pagare il biglietto: adesso adesso mandiamo un telegramma: la condurrò a casa mia fino a domattina se si fida d'un gentiluomo... Bisogna di che Narcis quand el parla moresin el sia on gran simpaticon perché in quel faccin bagnaa dai lagrim s'è subet vist risplend el sô: la me slonga el so bel sciampin inguantaa: - E poiché ho la fortuna d'incontrarmi in un uomo onesto e generoso, accetto l'invito... E la birbona per famm parì pussee dolz el regal la soggiunge: - Mi pare di vedere in lei il mi' babbo... Vegnem giò alla Bullona, mandem on telegramma alla Marianna e al so gattin, e pass pass sott l'istessa ombrella con una acquetta dolza e moresina anca lee vegnem in ca... Ombra di Marianna Ballanzini plàcati! Me pareva de vess tornaa ai temp del mi primm matrimoni colla povera Carolina, povera veggia... Te se ricordet, Narcis? e tutt nott el valtellina del zio prevost l'ha seguità a illuminare di ciaritt la fantasia... Adagio Narciso, nelle voltate! Son curios de vedella alla lus del sô questa rondinella pellegrina. Me par che la vegna... Un po' di toilette... un po' d'ordine nella stanza... e badiamo a non sfigurare nell'italiano.
SCENA SECONDA
Marianna e Narciso
MARIANNA: Buon giorno, mio ospite gentile...
NARCISO: Buon giorno, mia bella pellegrina che ha voluto ricoverarsi al tetto del nido della mia umile sì ma povera casetta.
MARIANNA: Ha ben dormito il mi' babbo?
NARCISO: Il su' babbo ha dormito sognando i troni e le dominazioni. (Va là, Narcis, che te set on boja).
MARIANNA: Quando arriveranno le nostre rispettive metà?
NARCISO: Non posson tardar molto, ma noi abbiam tempo di prendere prima un cicino di caffè in compagnia, se lei permette. Si accomodi: forse avrà sentito qualche rumore in casa...
MARIANNA: Tutt'altro: lei ha in questa casa un piccolo paradiso.
NARCISO: Mentre parliamo, sì... Lei non è milanese.
MARIANNA: Nossignore, sono di Perugia.
NARCISO: Si capisce all'accento. Mia moglie invece è di Abbiategrasso. (Menica serve il caffè).
NARCISO: Lo piglia dolce?
MARIANNA: Così, basta.
NARCISO: Ci vuol mettere un biscottino?
MARIANNA: Volontieri.
NARCISO: Vorrei essere io... quel biscottino. Ed è un pezzo che ha sposato il signor Spazzoletti?
MARIANNA: Due anni...
NARCISO: Due anni appena? son due sposini novelli. E si voglion bene eh...
MARIANNA: Spazzoletti è tanto buono, tanto premuroso! sicuro, che per volersi bene bisogna qualche volta contraddirsi; non c'è estate senza temporale...
NARCISO: In quanto a temporale la mia Marianna l'è ona tronada sola; ma è una donna eccellente per far le uova strapazzate. Lei mi ricorda tutto il profilo della mia prima moglie.
MARIANNA: È vedovo il signor Ballanzini?
NARCISO: Ha visto quel ritratto a olio nella sua stanza? quella è la mia prima moglie.
MARIANNA: Un'espressione dolce, graziosa...
NARCISO: Povera Carolina: dopo un anno di matrimonio Dio l'ha voluta a sè.
MARIANNA: E il signor Ballanzini ha detto: - Chi muore giace, chi vive si dà pace...
NARCISO: Fragilità delle cose umane...
MARIANNA: La seconda signora Ballanzini deve aver avuta una grande attrattiva per vincere la memoria di una donna così bella e ideale...
NARCISO: Non mi faccia fare delle confessioni... Glissons... scarligon...
MARIANNA: Qui c'è della musica? Suona la signora Ballanzini?
NARCISO: Sarebbe una buona suonatrice di campane, ma il cembalo, dice lei, el ghe fa nass i sciattit in del venter...
MARIANNA: Questa è vecchia musica da canto...
NARCISO: La povera Carolina aveva una bella voce e qualche volta la sera d'inverno, quando el fioccava, la se metteva lì, povera veggia, e intanto che io dava un'occhiata alla gazzetta la si divertiva colla Sonnambula e col Trovatore... Anche lei sa la musica?
MARIANNA: È il mio maggior divertimento. Che cosa è questa: Serenata valacca?
NARCISO: L'era la sua romanza favorita...
MARIANNA (suona e canta)
NARCISO (siede e accompagna la musica con una controscena): La par la soa vôs che vegna dal ciel... T'è lì, t'è lì... che me ven squasi de piang...! O Narcis... cosa l'è che te parla in del coeur... Cosa l'è che vola per l'aria?
Finita la romanza Marianna si alza e si avvicina alla sedia dove sta seduto Narciso; questi le stende le mani, ma oppresso dall'emozione non sa parlare.
MARIANNA: Forse io ho sollevato dolorosi ricordi...
NARCISO (sforzandosi di sorridere): Dolci, cari...
MARIANNA: Ho forse evocata la voce d'una povera morta...
NARCISO: Ha fatto vivere a un morto un minuto di... di... di... Che ciallon, la dirà... Ma sont on omm insci... Me commoevi per pocch... Che la mi suoni qualche cosa d'allegro: una polketta, un galopp... (la conduce al piano).
MARIANNA: (canterà una romanza allegra)
NARCISO: (si muove per la stanza in preda a un dolce orgasmo)
Chissà come l'è fa sto coeur, Narcis... Te seret nassuu per fa el papà di trenta fioeu... Va là, che te set un fieu ancamò... (batte il tempo e si accompagna colla voce alle ultime note della romanza: non si accorge che dietro di lui è entrata la Ballanzini che dopo aver contemplato un istante la scena si fa a battere sulla schiena del marito)
LA BALLANZINI: Uno due e tre... galeotto infame!
NARCISO: Oh la mia Marianna! (l'abbraccia)
LA SPAZZOLETTI (Cessa di suonare e vede Luigi): Luigi, sei qui?
LUIGI: Oh la mia Marianna (si abbracciano) pausa
LUIGI: Oh la mia povera Marianna!
NARCISO (imitando con caricatura): Oh la mia povera Marianna!
LA SPAZZOLETTI: Oh il mio Luigi...!
LA BALLANZINI: Oh el me baloss!
NARCISO: Ma donde siete sbucati? la corsa non è ancora arrivata.
LUIGI: La signora Ballanzini era così impaziente che questa mattina ha voluto prendere una carrozza.
LA BALLANZINI: Per rivà a temp a batt la musica!
LA SPAZZOLETTI: Come avete potuto passare la notte?
LUIGI: La signora Ballanzini ha voluto presentarmi ad alcuni suoi amici che mi accolsero con molta cortesia.
LA SPAZZOLETTI: La quale non potrà mai essere superata dalla cortesia con cui mi ha ospitato in casa sua il signor Ballanzini.
LA BALLANZINI: Oh el sem che l'è bravo monsù de fa i compliment ai sciorinn...
NARCISO: Volevi, cara moglie, che lasciassi una povera creatura di Dio su una strada? La carità cristiana...
LA BALLANZINI: Fa minga la dottrina del diavolo... Se permetten parli mì. Il signor Spazzoletti el gh'à premura de vess a Milan per i so affari e sem vegnù apposta in carrozza perché sta bella sciora la pudess ciappà la prima corsa che va in giò...
NARCISO: Come? io speravo che restassero almeno a far colazione.
LA BALLANZINI: Mangiaran con pussee appetitt a Milan... Quindi disaria che gh'è minga temp de perd.
LUIGI: La signora Ballanzini ha ragione: avrei dovuto essere a Milano fin da ier sera. Io ringrazio il signor Ballanzini di tutte le premurose gentilezze che ha usate a mia moglie...
LA BALLANZINI: El s'è pagaa de mornee, ch'el vaga là.
LUIGI: E spero che quest'avventura sarà il principio della nostra amicizia.
LA SPAZZOLETTI (alla Ballanzini): Io chiedo perdono alla signora Ballanzini d'aver invasa la sua casa...
LA BALLANZINI: Che la se figura cara el me tesor...
LA SPAZZOLETTI: E spero che ella verrà qualche volta a Milano con suo marito...
LA BALLANZINI: Immaginas! Mènica portem el bicocchin...
NARCISO: Permettano almeno che li accompagni alla stazione... (Appena vidi il sol che ne fui privo) Avrei voluto offrire almeno un caffè e latte, una cioccolatta, ona barbajada...
LA BALLANZINI (mentre si spoglia): Un risott alla milanese, una frittada rognosa, una fritturina de pasta badese per i sorci... Menica, el me bicocchin...
MENICA (reca un arcolaio con su un'ascia ingarbugliata)
LA BALLANZINI: T'è minga nancamò finii de sgarbialla?
MENICA: Pussee se lavora pussee se la ingarbia. (siede a svolgere la matassa)
LA BALLANZINI: A che ora l'è vegnuda ier sira quella sciora lì?
MENICA: Coll'ultima...
LA BALLANZINI: Dove l'à dormì?
MENICA: Nella stanza della sora Carolina...
LA BALLANZINI: Anh... a che ora l'è levada su...?
MENICA: Poc fa...
LA BALLANZINI: Vo de là a mettere in sorieura. Finiss de sgarbialla.
MENICA: La gh'à un diavol gelos per cavel. Pover sor Narcis, l'è sta castigà un po' trop.
GAITAN: Vuj,Menica, ho capii dove el sta el miracol.
MENICA: Che miracol...
GAITAN: El miracol dell'acqua che fa diventà gioven i donn.
MENICA: Te set mat?
GAITAN: Sont andà a toella adess... l'acqua...
MENICA: Me par che te set andà a toe el vin...
GAITAN: I ho vist mi i botteli... hin chi...
MENICA: Bravo martor... bevi
GAITAN: Te credet no? te voeut la proeva?
MENICA: Dammela sta preuva...
GAITAN: Dil no al padron... Vuna pu vuna men l'è minga quella che fa... (esce)
MENICA: Gh'ò paura che g'abbien pagà el grappin per strada a quel pover martor. De che acqua el parla? de che miracol el discor?
LA BALLANZINI (esce in giubboncino leggiero un po' simile a quello che indossa Menica) Da chì, da chì, te set intrega come ona settimana. Va a mett in orden la stanza de quella sciora... Met feura tutt coss all'aria.
Menica esce.
LA BALLANZINI: E adess el sor Ballanzini el giusterà i cunt con mì. Tutto deve confessare dall'a alla z: e imparerà on'altra volta a lassam dormì a posta per scappà via colla sciorina.
GAITAN (tra sè): Eccola chi la miracolosa botteglia... Adess ghe la foo alla Menica... Ghe ne voja in testa un sidellin...
LA BALLANZINI: E minga content de vess scappaa, el troevi chi a fa el gibigian e a batt el temp colla bocca averta come on merlo. Te vegneret a ca a scenna...
GAITAN: Acqua della Rupe di Mosè
Fa un miracolo per me... (versa l'acqua in testa alla padrona)
LA BALLANZINI (strilla): Ohi, ohi... cosa l'è... cosa l'è... moeri... nega... (si toglie il secchiello dal capo) ajut... pover mort...
GAITAN: O Signor, l'è diventata pussee veggia ancamò... (fugge).