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Ore di città/31

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193912Ore di città/311988Delio Tessa

Passo passo verso casa

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Sono le sei e mezzo e visto che proprio non vien dentro nessuno e nessuno telefona, prendo il cappello e me ne vado. Mi fermo due minuti a guardare la corte. L'erba è venuta su da tutte le parti e ci son pure delle pianticelle fra sasso e sasso. La signorina Bozzolo potrebbe tenerci su perlomeno una capra.

Passando dalla portineria mi imbatto in due che entrano e domandano: «Ghe stà chì l'Albertin quell che giusta i ghitar?» «El ghitaratt son mi! Cossa voeuren?»

Bene; affari in vista.

Appena in strada faccio un'altra sosta a una mezza finestretta a terra; sto lì a prendere il fresco che sale dalle cantine. Sa di muffa, di luce filtrata, di ragnatele e di ratti che corrono. Se lo fiuto lungamente m'illumina un mondo di cose. Ci vedo dentro le chiavi grosse della cantina e le odo tintinnare urtando contro il candeliere d'ottone... vedo i palchetti con su le vecchie e sordide bottiglie; sono in fila schierate coi cartelli delle date di quando le han messe giù... vedo la moschiroeula appesa all'ammattonato della volta a un filo di ferro: dietro le grate polverose si indovina il bianco dei piatti, la scodella del minestrone del giorno prima, un garon de polaster e i lasagn di pret...

In corso Roma, quasi davanti a San Nazzaro, c'è un vetraio che ha degli specchi in mostra. Anche lì mi fermo quasi sempre a vedere che faccia ho. «Questa - dico - di non voler far campagna è una manìa. Sono giù di cera. Il cappello poi non va più; bisognerà che ne compri un altro».

Al crocicchio con Santa Sofia mi raggiunge un appello forte, in mezzo alla gente: «Buona sera, scior cavalier!»

È lui! Non c'è verso, non mi saluta che così. Chi lo sente, che dirà? «Ecco - dirà - quello lì è uno che ci tiene». Difatti è proprio lui sul marciapiede, il caro vecchietto, sempre in nero da quando gli è morta la moglie.

«Come sta, signor Righelli?»
«Ben... ben... tirom là... tirom là».

Da una tasca della giacca gli vengon fuori le citazioni e gli atti per l'udienza di domani. Il simpatico ometto sorride bonariamente. Era così anche nell'undici, il patrocinatore Righelli, quando ho cominciato a far pratica d'avvocato nello studio del barbison.

«Traversiamo, signor Righelli? Traversiamo? Faremo un pezzo di strada insieme. Lei non sta in corso Roma alla Crosetta?»

«Si, ma mi specci».
«Aspetta qualcuno?»
«No, no, specci i sett...» e mi fa cenno all'orologio elettrico che segna le sette meno venti.
«Oh bella... perché?»
«El sà... neh!... i donn... mia cugnada...» (adesso mi viene in mente... il signor Righelli vive colla cognata dalla morte della sua povera moglie) «... insomma... mia cugnada la me voeur minga per cà fina che no l'è in tavola».
«Capisco... capisco... e dopo, signor Righelli, dopo pranzo dove sta?»
«Signor... voo foeura, lì sul canton a ciappà on poo d'aria, a vedè a passà la gent... ah qui donn... qui donn, caro lù, anca i omen, sì, ma i donn... ma i donn!»
«Allora, arrivederci...»
«Buona sera, scior cavalier!»
(... e due... beh! pazienza!)

Vado giù per San Calimero. Da una finestra a piano terreno del numero tre vien fuori un appetitoso odorino di... mah!... identificare una pietanza dal suo profumo è come riconoscere un'opera da uno dei suoi motivi. Non ho naso, ahimè! come non ho orecchio musicale. Comunque ci scommetto che questi effluvi vengono da una portineria. Probabilmente il padrone di casa in questo momento è in campagna e ha lì davanti quattro fette di salame!

La chiesa di San Calimero è chiusa. In cima alle lor lunghe scale alcuni operai stanno togliendo alla facciata gli addobbi di un funerale d'oggi. Per terra ci sono già pronti i paramenti - rossi e oro - per una festa di domani. Mi viene un'idea: e se la gente facesse come le chiese? Desse, cioè, un segno, un segno esteriore per gli altri del loro stato d'animo giornaliero? Oggi - poniamo - voi siete allegri, mettete un abito chiaro; siete tristi? mettete un abito scuro. L'usanza, adottata su larga scala, potrebbe avere dei riflessi sociali non indifferenti. Si udrebbero delle telefonate come queste: «Come è vestito il signor commendatore questa mattina?»

«Così, così, tende al chiaro...»

«Allora vengo e gli parlo...»

Ma se l'abito del commendatore fosse orientato verso i colori bui, si girerebbe al largo... Cammino e mulino colla testa. Un mio amico non poteva scriver poesie se non andando in tram. Per risolvere il problema della pubblicazione di un libro fece un abbonamento annuale a tutte le linee!

A poco a poco mi calmo. In questa via senza botteghe, senza gente, lieta di freschi giardinetti lunghesso le case e che ti par quasi che scenda verso un placido quartiere, i pensieri diventano labili larve... se ne vanno...

A pacificarmi del tutto incontro, come spesso mi capita, uno strano equipaggio. È una carrozzella di vimini tirata al piccolo trotto da un asinello bigio. Un vecchietto arzillo incita il ciucciariello: «Hop... hop... hop!»

Sempre a quest'ora la carrozzella fa un giro menando a spasso il vecchietto. Evita i corsi, segue un itinerario di vie semideserte: «Hop... hop... hop!»

È l'unica voce umana da San Calimero al Viale.