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Page:Labi 1998.djvu/40

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uno studioso ottocentesco il quale, sottendendo nella sua analisi le stereotipate caratteristiche femminili - passività, impulsività, disordine -, asseriva che la donna dedita ai lavori rurali «[aveva] abitudini eccezionalmente chiete, tranquille, casalinghe [... lo] spirito di intrapresa assai lieve e limitato, sicché essa si trova impacciata a moversi magari dal villaggio alla più vicina città»; degna di nota era pure la sua sostanziale tranquillità (più che apparente), ma anche la fermezza dei proponimenti con cui poteva abbandonare le più inveterate abitudini per seguire gli uomini nella loro avventura migratoria, giacché non le veniva ancora riconosciuta alcuna autonomia. Inoltre, sembra osservare il Nostro quasi con stupore, essa possedeva «una sua facilità di giudizio», che la induceva alla risolutezza nelle decisioni, anche se «[ha] il pensiero non molto vivace e sveglio, la mente ristretta e zotica [viene], per esprimersi esattamente, soggiogata e impressionata dalla grande audacia della novità [dimostrando una insospettabile] forza d’animo». La sua affettività, inoltre, era considerata qualcosa di appena abbozzato, non «suscettibile] di quelle finezze particolari del sentimento, che si estrinsecano negli animi più colti, negli spiriti eletti», tanto da non interferire negli «interessi morali [che] legano maggiormente l’uno all’altro i componenti di una famiglia», quasi a significare che non si ponevano coinvolgimenti affettivi al distacco. Ed egli proseguiva sottolineando che la totale ignoranza del proprio destino e del nuovo ambiente, della probabile solitudine, non turbavano l’animo dalla forza non comune di queste donne; era un comportamento che le rivalutava di fronte a chi le aveva considerate delle «minorenni a vita», sino a riconoscere in loro una «buona volontà eccezionale [se] non è eletta la mente perché molto trascurata, sono più forti il cuore e la volontà degli atti».[19] Una concezione che in parte si accordava con quella, ben più cinica per certi aspetti, di un attento osservatore della popolazione alpina come il possidente bellunese Maresio Bazolle.[20] Ma, come bene descrisse Michelle Perrot in «La popolana ribelle»; «Le donne non sono né passive, né sottomesse. La miseria, l’oppressione, la dominazione per vere che siano, non sono sufficienti a spiegare la loro storia [...]. Sono diverse. Cercano affermazione con altre parole, con altri gesti. In città, sul lavoro, applicano pratiche quotidiane diverse, forme concrete di opposizione alla gerarchia, alla disciplina e sono strettamente correlate al proprio uso dello spazio e del tempo.»[21]

La complessità del soggetto donna, quasi una «figura plurale», è sicuramente accentuata nell’emigrante alpina, perché gran parte della sua storia,

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HISTOIRE DES ALPES - STORIA DELLE ALPI - GESCHICHTE DER ALPEN 1998/3