del nome - Julijska Krajina - vennero coniate pure le espressioni inglese, francese e tedesca con le quali veniva denominata questa regione (Julian March, La Marche Julienne e Die Julische Mark), espressioni che entrarono nell’uso corrente specie dopo la conferenza di pace dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il nome più usato tra gli Sloveni per riferirsi a questo terri torio era Primorska (Litorale). Il nome Venezia Giulia è stato mantenuto nella denominazione della regione con diritti autonomi Friuli - Venezia Giulia (Furlanija - Julijska Krajina), che dal 1964, ovvero dalla sua formazione, comprende Udine, Pordenone, Tolmezzo, Gorizia ed il territorio di Trieste.
Durante i primi giorni dell’occupazione il generale Carlo Petitti di Roreto, governatore della Venezia Giulia, emise una serie di disposizioni: ordinò alle unità della Narodna straža (Guardia Nazionale) - formate dai soldati sloveni dell’ex esercito austro-ungarico che controllavano il ritiro dell’armata austriaca - di consegnare le armi, instaurò la corte marziale, introdusse la censura per la stampa, proibì l’attraversamento della linea di demarcazione ed il movimento nella Venezia Giulia senza previa autorizzazione, e senza quest’ultima erano proibiti pure tutti i comizi pubblici. Gli intellettuali sloveni cercarono rifugio nello Stato Serbo, Croato e Sloveno (SCS) subito dopo i primi giorni dell’occupazione, ignorando l’invito a non abbandonare i propri posti di lavoro rivolto dal Narodni svet (Consiglio nazionale) di Ljubljana a tutti gli impiegati sloveni. Il passo successivo delle autorità italiane di occupazione fu la soppressione del Narodni svet (Consiglio Nazionale) di Trieste e Gorizia. In tutto il Litorale comunque, nonostante l’occupazione, venivano raccolte le firme per l’appartenenza del Litorale (Primorska) alla Jugoslavia. Nel contempo in tutti i comuni sloveni occupati venivano firmate pure le dichiarazioni di protesta contro l’occupazione italiana. Gli Sloveni del Litorale indirizzarono agli organi centrali dello Stato SCS ed a Trieste la richiesta che l’esercito italiano venisse sostituito dalle forze militari alleate, ma i loro sforzi non ebbero alcun esito. Il 30 novembre entrò in vigore nella Venezia Giulia un decreto sulla punibilità degli individui impegnati ad agire contro gli interessi italiani nel territorio occupato; al decreto seguirono internamenti e deportazioni della popolazione civile, degli uomini idonei al servizio militare, e particolarmente «pericolosi» erano considerati i rimpatriati dal fronte russo. L’ondata maggiore di interna menti colpì la Venezia Giulia nel febbraio e nel marzo del 1919: vennero presi di mira in primo luogo gli insegnanti, i sacerdoti, gli impiegati ed i medici; gli internati vennero inviati sulle isole della Sardegna e di Ventotene e nelle zone interne dell’Italia. L’amministrazione militare dei territori occupati si protrasse